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L’annunciazione |
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1/04/2012 | Quello dell’annunciazione è il giorno in cui, secondo la Chiesa Cattolica, venne annunciata la discesa del Dio cristiano sulla terra per mezzo del Suo figlio Gesù il quale avrebbe condiviso con gli uomini l’esperienza terrena della morte al fine di redimerli dal peccato originale. Ma il senso cristiano della venuta di Cristo è anche quello di segnare una nuova via che conduca alla salvezza. La concezione escatologica della vita dell’uomo nasce con questo evento: l’Angelo che annuncia a Maria e Giuseppe il concepimento verginale di Dio tra gli uomini. Abbiamo voluto ricordare questa ricorrenza fissata dalla tradizione cristiana al 25 marzo, in relazione al Natale, per l’ enorme importanza che riveste anche da un punto di vista sociologico. Quello che ne è seguito ha influenzato significativamente le coscienze e le azioni degli uomini per duemila anni. L’intera nostra cultura ha risentito fortemente della visione cristiana del mondo. Perciò vogliamo proporre la concezione del destino dell’uomo di Gioacchino da Fiore che si articola in tre grandi momenti: “ quello del vecchio testamento, incentrato su Dio Padre, oggetto di timore e di venerazione. Quello del nuovo testamento incentrato sulla figura di Cristo, maestro pratico di amore. E infine la terza età, quella dell’evangelo eterno, l’epoca in cui l’uomo farà il bene perché è bene e non perché gli siano promesse delle ricompense ultraterrene”. Anche se molto antica rimane una teoria affascinante e molto condivisibile, almeno per i credenti. Ne deriva che il popolo credente per eccellenza, quello ebraico, essendo stato protagonista delle prime due fasi di questo cammino dell’umanità avrebbe tutte le carte in regola per accompagnare l’uomo anche nella terza ed ultima fase, quella del bene fatto per il bene. Un esempio di come intraprendere questa via il popolo ebraico potrebbe trovarlo proprio nell’opera di un tedesco, a noi molto caro, intitolata “Nathan il saggio” di G.E. Lessing. Qui l’autore sostiene che “in luogo delle controversie per questioni dogmatiche o di ortodossia, ciascuno deve dimostrare la bontà della propria religione con le opere, con il suo comportamento verso gli altri uomini”. Alla base di questo atteggiamento andrebbe posta una morale razionale che dovrebbe permeare anche la religione da cui essa in qualche modo scaturisce. Quando però sentiamo dire che Israele conduce studi sul suolo palestinese occupato per programmare nuovi insediamenti ed aree di sviluppo ci chiediamo cosa impedisca a questo popolo di far precedere, o almeno di far viaggiare di pari passo con lo sviluppo dell’area, un processo culturale teso al superamento delle diversità. Forse un tale processo per poter iniziare dev’essere voluto dalle due parti? Ma allora la strada migliore per avvicinarle non può essere quella della contrapposizione e del predominio militare! La cosa che veramente stupisce è che ogni tentativo di levare la voce contro lo Stato di Israele viene immediatamente strumentalizzato come il tentativo di gettare le basi ad una nuova forma di antisemitismo. Ma la realtà è purtroppo un’altra e cioè che si può essere nello stesso tempo a favore di uno Stato Ebraico e condannare la politica di Israele. Si può rimanere inorriditi esattamente allo stesso modo sia nei confronti della scioà che difronte ai bambini palestinesi uccisi. Si può e si deve rimanere ugualmente indignati di fronte alla storia del ghetto di Varsavia e a quella del gigantesco muro di separazione elettrificato, costruito sui territori agricoli del villaggio di Bil’in. Così come di fronte al progetto di edificare una Gerusalemme ebrea staccandola dal resto della West Bank. Le strade per soli ebrei o le case negli insediamenti, anch’esse per soli ebrei, devono essere necessariamente paragonate, nello spirito, alle leggi raziali. Così come Auschwitz, Mauthausen avrebbero dovuto impedire moralmente la mostruosa pulizia etnica del 1948. Di fronte all’esigenza del popolo israeliano di esistere in sicurezza e a quello palestinese di rivendicare una terra in comune ed un’integrazione reale e dignitosa, mettere la testa sotto la sabbia e non guardare agli errori di una parte significa solo condurre la storia su di una strada sbagliata. Andando a memoria, invocando il perdono nel caso in cui la citazione risultasse errata, ci pare che proprio un ebreo illuminato di nome Baruch Spinoza dicesse che “i rivolgimenti più profondi dell’essere sono dovuti ad una riflessione dell’essere su se medesimo”. Prendendo a modello questo insegnamento ci auguriamo che il grande popolo di Israele possa trovare soluzioni diverse ai problemi dell’area da quelle finora adottate, aiutato anche dalle critiche severe di quanti amano sopra tutto la pace e la giustizia.
Antonio Salerno |
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