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Cultura: Le metamorfosi |
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12/02/2012 | Ammesso che ci sia un fine che giustifichi un’esistenza morale, dove dev’essere ricercato, e per quali vie? Seguendo il filo del pensiero filosofico, che traccia il percorso evolutivo della mente umana pare che la ricerca di una qualche verità o di un qualche principio generale, abbia ossessionato la mente dei nostri padri pensatori. Ma si è visto che vi sono vari mondi infiniti da esplorare con infinite verità, tutte egualmente valide, da ricercare: la natura, l’uomo, la scienza, il soprannaturale, Dio. Su ognuno di questi singoli aspetti del “tutto” la mente umana ha saputo edificare mirabili monumenti del sapere e della ricerca. Senza dubbio però, quello umano è l’universo che a noi interessa maggiormente vista la centralità che attribuiamo, non all’uomo bensì, alla consapevolezza del “sé” da cui tutto nasce: l’universo, Dio, la scienza e l’uomo stesso. I più pazienti tra i nostri lettori perdoneranno il piccolo preambolo posto a gradino della nostra riflessione: come conoscere gli uomini. Forse la risposta più immediata è anche la più saggia: vivendo con essi. Vivere con gli uomini non significa però solo far parte di una società o abitare in un posto ma calarsi nella struttura del loro pensiero, impresa ardua visto che ogni uomo è un universo e tutti gli uomini rappresentano infiniti universi. A noi però serve dare un fine alla nostra esistenza e questo fine è la saggezza “relativa” all’individuo da raggiungere attraverso la ricerca. Quella della saggezza è però una strada che va scelta con convinzione perché conduce alla perdita del senso del peccato: il saggio, immerso nella ricerca della verità, smarrisce la sua capacità di giudizio critico e con questo viene a perdere le armi che permettono a un individuo di conservare il suo posto nella giungla umana: la condanna e la pena. Il saggio non condanna un suo simile per i suoi atti perché interessato a ricercare le cause che li hanno determinati e quindi una volta comprese tali cause il “colpevole” non è più tale perché vittima dei meccanismi che hanno prodotto il suo comportamento: questo è il progresso ma anche l’anarchia. Tutto ciò che di buono può venire all’uomo proviene, per vie diverse, sempre dalla stessa fonte: la saggezza. Il saggio di ogni tempo si fa carico quindi della “creazione” dei modelli ideali, a fatica e a proprio discapito dato che, colui che rinuncia all’azione può essere facilmente soppresso da coloro che nell’azione trovano il senso della propria esistenza. Ma senza l’osservazione e la ricerca non si raggiunge la verità. E allora come avvicinare l’animale uomo per rincorrere la saggezza senza la quale non vi sarebbero il bene e il progresso? Un simpatico metodo ce lo fornisce Apuleio nelle sue Metamorfosi: la trasformazione. Non potendo appartenere ad ognuna delle comunità di cui narra, “Lucio” si trasforma in qualcosa di apparentemente inerte da un punto di vista del pensiero, un asino, se non fosse che all’insaputa di tutti, almeno fino ad un certo punto, esso conserva le facoltà intellettive di un essere umano. Si osservano così, in tutta sicurezza, gli uomini nei loro alvei esistenziali. E allora il senso di quanto compiuto coi nostri sforzi lo troviamo nella bella immagine, contenuta nel libro ottavo del “l’asino d’oro”, che il banditore offre della bestia dopo che questa ha morso la mano di un avventore che voleva verificarne la consistenza fisica esplorandone le gengive: “ a che scopo mettere in vendita questa rozza, vecchia, fiacca con le unghie logore e malandata per gli stenti, fatta feroce per la pigrizia, buona a nulla, se non per farne un crivello?...”. E forse che questo non potrebbe bastare al nostro scopo di raggiungere una qualche verità? Conoscere gli uomini e separarli idealmente, gli uni dagli altri, per poi narrare di essi cercando di accrescere di un pochino la saggezza di chi vuole essere saggio e lasciando tutto ciò che occorre a coloro che sono i signori delle proprie miserie, fintanto almeno che il lume dell’intelletto non li denuderà delle loro apparenze?
Antonio Salerno
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