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“Room” un film di Ronald Abrahamson. Recensione di Mario Coviello

14/03/2016

Una madre, un figlio/a con i capelli lunghi e una stanza. Un buco con un lucernario, un lavandino ,un water senza coperchio, un letto con un comodino e alcuni libri per bambini , tra i quali “ Alice nel paese delle meraviglie” di Louise Carroll.
Jak il bambino e “ Mà “ sono sempre insieme. Di giorno giocano con i gusci di uova e la notte dormono abbracciati . Jak ha visto il sole e la pioggia solo dal lucernario e tutte le mattine saluta il lavandino, il letto, il pupazzo, come se fossero persone. Vive in un mondo immaginario con la scarsa luce filtrata dall’esterno cui giungono i rumori della natura. I due si separano solo quando” l’uomo cattivo”, “ Old Nick”, irrompe. Allora Jack va nell’armadio e cerca di dormire come gli ha detto la mamma anche se è costretto ad ascoltare .
Tutto è dimesso, provvisorio. Alle pareti della stanza ci sono i disegni di Jak e un cane di peluche e una televisione, che funziona a intermittenza.
Jak festeggia i cinque anni con una torta a cui mancano le candeline e per questo litiga con “ Mà” . Ora è grande e può capire la differenza fra realtà e immaginazione, la stanza e quello che c’è fuori che Jak non ha mai visto. Il mondo esterno è per Jack solo “Old Nick “con le botte e i lividi che lascia sul corpo della madre.
Mà insegna al figlio a fuggire e Jack aiuta la polizia a liberare la madre che il mostro ha sequestrato a 17 anni con la scusa di un cane malato che aveva bisogno di aiuto.
Madre e figlio finalmente fuori, insieme,con la luce che acceca, l’aria, gli alberi.
C’è un preciso cambio di scene, di prospettiva nato dal crollo della “stanza”; le ferite dell’ anima si aprono in tutta la loro violenza nella casa della mamma, nel mondo che non comprende e sfrutta il dolore come mercificazione .
E conosciamo la nonna, abbandonata dal marito che non riesce a guardare negli occhi la figlia stuprata. I due insieme a casa della nonna. Sempre dentro, in spazi più grandi, con le scale così difficili da scendere.
Conquistare l’aria, gli alberi la natura si paga. Si paga con il tentato suicidio della madre, con i capelli lunghi di Jack che “ sono la sua forza” tagliati perché “ è la mamma in clinica dopo il tentato suicidio che ha bisogno di forza”. E Mà torna e insieme escono a passeggio, con un cane vero e un amico che gioca con Jack. Il cerchio si chiude solo quando Jack chiede alla madre di tornare nella “stanza”. Ma la stanza non è più il” mondo” di cinque anni di vita, sofferenza… perché ha la porta sfondata e “ Old Nik” è in prigione…
Mamma e figlio, mano nella mano lasciano per sempre la stanza. La vita per tutti e due è tutta da inventare.
“ Room”, è un film potente, difficile che fa piangere e mette angoscia. E’ un film che scava in ciascuno di noi perché ci chiede come siamo padri, madri….Ci chiede quanto i figli sono “ nostri” e fino a che punto..
E’ un film vero che racconta la difficile risalita verso la vita di una giovane adolescente stuprata che nel figlio ha avuto l’unica forza per sopravvivere, resistere, combattere … fuggire.
Room strazia per il dolore della nonna che ritrova la figlia e conosce il nipote. E impara a parlare, dialogare, giocare con lui.
Il film è Jack, un bambino, il più inconsapevole tanto del male quanto del bene, …. che costruisce il mondo e con fatica e intelligenza conosce e si adegua e trasforma il mondo vero, e le sue regole.
Brie Larson, premio Oscar per la migliore interpretazione femminile per questo film, e Jacob Tremblay si rimbalzano il testimone di una maratona attoriale ad alto tasso di emozione, scegliendo sempre di togliere,senza sottolineare con falsa enfasi. Dal loro legame dipende l'intera impalcatura del film e loro sanno reggerla con grazia e solidità.
Il film è tratto da una storia vera . Nel 2008 si scoprì che l'austriaco Josef Fritzl, ora in carcere a vita, aveva tenuto per 24 anni sua figlia Elisabeth segregata in un bunker dove abusava di lei e dove erano nati sette figli incestuosi. Abrahamson adatta il libro uscito da Mondadori col bel titolo Stanza, letto, armadio specchio di Emma Donoghue, che è anche la sceneggiatrice di Room - con rispetto e sensibilità, senza mai cedere all’eclatante, al morboso.
Abrahamson ha di fatto diretto due film in uno, diversi nei toni e nel genere eppure legati da un amore indivisibile. Quello di una madre per un figlio e viceversa. Room è tante cose: thriller, avventura, crescita, scoperta, separazione, rinascita, tragedia, guarigione, amore. Il risultato è frutto di cura e sensibilità: la capacità di vedere le cose a misura di bambino, filmandole alla sua altezza, vicine al suo sguardo e al suo sentire, trasformando la prosa delicata della Donoghue in vibrante e densissimo racconto cinematografico che si fa esperienza intima e personale: perché anche noi un giorno abbiamo lasciato la nostra Stanza. E qualcuno, come Mà, la porta sempre con sé.

Bella 13 marzo 2016 Mario Coviello




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