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Mauro Di Ruvo stronca il film di Rubini: “Leopardi deformato dal regista'' |
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27/01/2025 | Il critico d’arte Mauro Di Ruvo, ellenista e filologo classico, in una nota inviata alla stampa stronca il film di Sergio Rubini “Leopardi. Il poeta dell’infinito”, una miniserie tv andata in onda su Rai 1 in due puntate gli scorsi 7 e 8 gennaio.
«Il miracolo più grande di questo giovane Leopardi narrato da Rubini è la sua gobba rimossa in quanto eversiva dall’immagine della sua poesia» scrive Di Ruvo per Lanterna il 9 gennaio, un giorno dopo finita la serie. E aggiunge ancora:
«Ignorare la presenza di uno dei connotati che non sono stati affatto ritenuti nel netto argine fisionomico del Leopardi, mentre hanno plasmato da dentro la sua intera morfologia dello spirito, significa proprio negare la forza umana dell’immaginazione di fronte al visibile, che è quanto Leopardi ha difficilmente espresso propio nella sua ‘autografia poieutica’».
Sono queste parole che il critico scaglia contro il famoso regista che ha voluto incentrare il film su una prospettiva nuova e alternativa del “poeta dell’infinto”, ma che, secondo Di Ruvo, non avrebbe fatto altro che sminuire l’immagine di uno degli autori più controversi e ancora irrisolti della letteratura italiana. Leopardi sarebbe stato deformato dal regista stesso e non dalla sua gobba, la quale anzi, dice Di Ruvo, avrebbe costituito uno dei connotati più significativi per la nobiltà della sua poesia.
Così infatti afferma nello stesso articolo: «Rimuovere la gobba non è l’esatto corrispondente del “fingersi” il mare dell’infinito oltre la siepe. È l’esatto corrispondente invece dell’estirpare la difficoltà visiva, percettiva e intellettuale dell’ostacolo della siepe su quell’ermo colle che avrebbe dovuto costituire il punto di focalizzazione zero per ciascuno spettatore che veramente voglia avvicinarsi a conoscere Leopardi».
Non ci sarebbe un solo aspetto per il critico di Lavello (PZ), che dovrebbe essere salvato all’interno della narrazione di Rubini, tale per cui egli stesso si pone l’ironica domanda, che fa anche da sottotitolo alla sua critica, se «recensire Leopardi o emendare Sergio Rubini». Non c’è che lasciare a questo punto «al cinema l’ardua sentenza», una volta che la produzione cinematografica ha raggiunto questi livelli.
Mauro Di Ruvo ha messo in scandaglio tutto il corpo citazionale di Rubini e lo ha analizzato anche alla luce delle sue dichiarazioni postume rilasciate alla stampa, ma per il critico, nonostante i tentativi del pubblico che cercano di giustificare il film come sforzo di rendere Leopardi “icona pop” della modernità, l’opera del regista è da emendare completamente in ogni suo punto.
Già autore della recensione critica sul capolavoro di Sorrentino, Parthenope: il vaticinio della giovinezza e l’errore della bellezza, pubblicata a inizio gennaio nell’ultimo volume della rivista Nuova Antologia (vol.633) e acquistabile online anche sui siti Amazon e Feltrinelli, così conclude su Lanterna:
«L’opera di Rubini è una delle già sentite odi alla Bellezza truccata, filtrata, incapace di esprimersi nella sua originale virtù intellettuale. A Rubini sfugge la fonte scritta dal cardinale Mai per cui Giacomo Leopardi era un bellissimo giovane, dal viso dolce, dai lineamenti delicati, ma già consumato dalla sua stessa bellezza, così come per la ninfa Eco rimasta essa nella sua singola voce, che sopravvive infine, sopraggiunta la cecità a Napoli, nella sua lotta titanica all’Infinito.»
Non resta allora che aspettare le sue parole sul nuovo film di Toni Servillo, con la partecipazione di Ficarra e Picone, chissà forse se almeno loro saranno promossi.
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