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Recensione di 'Riprendiamoci in nostri figli' di Antonio Polito

9/12/2017

Il libro di Antonio Polito “Riprendiamoci in nostri figli – La solitudine dei padri e la generazione senza eredità” di 176 pagine, edito da Marsilio editori, ed acquistabile al prezzo di 17 euro, mette in rilievo che anche in altri momenti di svolta, genitori e figli non si capissero. Per esempio quando i primi giovani della specie umana decisero di non vivere più aggirandosi nelle foreste a raccogliere frutti e cacciare selvaggina, come avevano fatto i padri, ma si costruirono una capanna e diventarono agricoltori, coltivando la terra e allevando gli animali. (E magari l’individualismo sarà nato allora, quando per mangiare non si ebbe più bisogno dell’aiuto degli altri cacciatori-raccoglitori). Oppure quando i giovani scoprirono, grazie alla stampa a caratteri mobili, che per la prima volta potevano leggere da sé le Sacre Scritture, sencrisi della famiglia è il terreno sul quale si vince la più generale guerra dichiarata a ogni autorità. Non è un accidente della storia; non è come le altre volte. Avviene oggi perché oggi la modernità ha determinato le condizioni eccezionali e irripetibili affinché potesse accadere. Disruption, il termine con cui identifichiamo i grandi e traumatici cambiamenti della nostra era, significa letteralmente “interruzione”. E infatti l’imperativo del tempo ci dice esattamente di interrompere la catena di trasmissione fra le generazioni, come condizione presunta di vera e autentica libertà. Solo quando si sarà distrutta ogni autorità si potrà davvero dire, come si auspica, che “uno vale uno». Lo strumento per raggiungere questo scopo è la disintermediazione, altra parola chiave della nostra epoca. Il più importante dei mediatori, il genitore, può rapidamente diventare obsoleto come i tassisti o le agenzie di viaggio, i piccoli negozi o le librerie se gli si sottrae la missione educativa, anche lui potrà presto essere sostituito da una piattaforma. E per la prima volta nella storia esiste anche una via alla conoscenza non più mediata dalla cultura (che è selezionare, col ˘ere in latino, e dunque è di per sé mediazione), perché tutto ciò che si può sapere è sulla Rete (anche quello che sarebbe meglio non sapere), e tutto ciò che si può provare è sui social. Come se non bastasse, questo progetto coincide alla perfezione con le esigenze del mercato. Lo «spontaneismo» disancoratoza dover dipendere da ciò che i monaci ne raccoglie il suo frutto finale. padri si chiede di assomigliare ai figli, di adottare il loro immaginario e piegarsi alla loro visione della vita. I cinquantenni di oggi si vestono come i ragazzi, guardano gli stessi programmi in tv, frequentano le stesse palestre, non solo perché non vogliono invecchiare, ma perché la giovinezza è diventata il modello culturale della nostra società. Se in altre epoche i giovani facevano di tutto per diventare adulti il più presto possibile, il nostro è invece un tempo in cui gli adulti fanno di tutto per restare sempre giovani. Gli americani hanno inventato anche un termine, kidult, per definire questi vogliono fingersi kid (da noi potrebbe tradursi con adult che “adultescenti”). Diventare adulti comporta infatti delle scelte, delle rinunce, obbliga a differenziarsi; restare giovani consente di preservare quella condizione in cui niente è ancora determinato, e dunque la libertà di scelta è assoluta e il rifiuto della tradizione necessario. È inevitabile che gli educatori, il cui mestiere consiste invece proprio nell’insegnare a diventare adulti, se la passino così male oggi: a che servono in una società che ha fatto dell’eterna giovinezza il proprio ideale? “cultura del narcisismo”, per usare l’espressione resa celebre da Christopher Lasch . Lo spirito del tempo ripete come un mantra«sii te stesso”, “realizza i Rispetto ai tempi del dominio della televisione, la qualità e il grado di penetrazione dell’assalto pubblicitario ai nostri figli sono notevolmente diversi e questo si deve alla diffusione dei social. Oggi si è creata una vastissima zona grigia in cui i messaggi commerciali sono nascosti, spesso camuffati, e passano attraverso gli influencer, personaggi popolari tra i giovani e di cui noi genitori sappiamo poco o niente, i quali accettano di comparire in contenuti fatti apposta per promuovere brand e prodotti. Formalmente Google, che possiede la piattaforma YouTube, pretende che chiunque carichi video abbia l’obbligo legale di indicare se vi sono presenti promozioni a pagamento, e che tutti tuoi sogni», «puoi avere tutto, se solo la crisi della politica è un altro macroscopico aspetto della crisi di tradizione, e cioè dell’incapacità di trasmettere valori e saperi da una generazione all’altra, che produce a sua volta.




Biagio Gugliotta








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