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'Alla Fera' |
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29/11/2017 | Antiche istituzioni che favorivano il commercio periodico e gli scambi a distanza e che sorgevano nei luoghi di naturale incontro di vie commerciali, le fiere ottennero ben presto, grazie alla loro insostituibile funzione,un pratico riconoscimento e protezione dalle autorità costituite. La Lex Unica,che le governava si rifaceva ad un principio di diritto feudale, stabiliva che era l'imperatore che concedeva la facoltà di tenere fiera ed anche il diritto di amministrare giustizia durante l'evento.
Per incoraggiare i forestieri ad accorrervi, era loro assicura¬to che non sarebbero stati molestati con tutti i loro beni, animali compresi, per la via, nel territorio della città ove si teneva la fiera ed erano esenti da qualunque tassa. Erano organizzate in concomitanza di feste reli¬giose, per le quali già vi era molta affluenza di persone, e questo è il motivo per cui le più importanti erano quelle che si celebravano in occasione della festa del patrono del paese, in relazione a scadenze ben precise o in relazione alle epoche delle stagioni agrarie attive per quanto riguardava il lavoro nei campi.
Una fiera importante metteva in movimen¬to vasti interessi e, nonostante la difficoltà dei trasporti, la compravendita del bestiame(buoi, pecore, capre, cavalli da sella, equini da soma) avveniva nelle cosiddette "fiere", che si tenevano fra primavera e fine estate ed erano molto accorsate. I luoghi delle "fiere" erano generalmente pianori di collina, gli estuari delle fiumare, le rive del mare, le periferie dei centri urbani di una certa entità.
Chi scrive ha avuto l'avventura di vedere la fine di questo particolare mondo, e rivede un film di luci, grida, colori, polvere, odori: i vaccari con i bastoni di quercia, i "massari" nei loro abiti di fustagno nero o marrone, i giovanotti su giumente che in estate brillava¬no al sole, gli zingari variopinti, i venditori di rame, i pastori con le piccole "morre" ed il giovane apprendista della masseria ”quatrascone”, nei cui occhi lucidi si leggeva la gioia dell'evento; più appartati stavano i padroni del bestiame: sedevano con sussiego all'ombra di qualche pianta, rispondevano ai saluti, concedevano ai più intimi commenti, battute, consigli; tutto questo finì con le riforme agrarie degli anni cinquanta.
Le fiere che andavano da marzo a giugno erano preparatorie alla cura dei campi ed alla mietitura, per cui si commerciavano attrezzi e utensili per questi lavori, mentre gli animali commerciati in questa epoca erano per lo più i soggetti giovani, allievi (agnelli, capretti, torelli), che erano stati allevati durante l'inverno. I "ferianti" dovevano essere muniti di una "fede" che attestava la legittimità del pos¬sesso degli animali condotti alla fiera, la quale, per mancanza di tipografie, veniva stampata su lastre di rame incise recanti lo stemma del comune o del barone o della città, con spazi vuoti per aggiungervi i nomi delle persone e le caratteristiche del be¬stiame (qualcosa come gli attuali certificati dell'anagrafe bestiame).
Noi eletti della Università di Sant'Arcangelo attestiamo che Massaro Pietro Palermo havvi ducento pecure et centovinti crape che porta alla Fera di S. Maria di Orliceto nel numero di venti pecure e quattordece crape.
Si invitano le autorità di dare assistenza in caso di bisogno.
Dato a Sant'Arcangelo il 5 aprile 1572
L'Auditore (4) Pietro Antonio Melfesio
Vi erano usi e consuetudini generali per la vendita degli animali che avevano fonda¬mento nel diritto scritto; quando però gli animali si vendevano ad "usum ferae", cioè in modo sbrigativo, le bestie si osservavano sul luogo, se ne pattuiva e si pagava il prezzo e dopo la consegna non poteva sollevarsi "difetto alcuno". Nella zona di San¬t'Arcangelo, rinomato centro agricolo, la vendita di animali, specie di equini ed asini, era fatta "a capistre 'nterre", cioè semplicemente deponendo per terra la corda che stringeva il morso dell'animale, che veniva raccolta dal compratore, il quale poteva solo in quel momento ricercare eventuali vizi o difetti dell'animale (zoppia, irrequie¬tezza, cecità di un occhio), altrimenti non poteva in tempo successivo esperire un’azione redibitoria, cioè la restituzione per vizio del bene acquistato.
Ogni paese o città aveva nell'arco dell'anno una o più fiere più o meno importanti, che si caratterizzava per la prevalenza delle mercanzie esposte. Le fiere in Basilicata nel versante ionico erano tenute a: Anglona-Tursi, Roccanova, Sant'Arcangelo – Orsoleo, Senise, Stigliano, Moliterno.
Per noi ragazzi di allora era l'occasione per un sorbetto colorato prima e poi per un gelato, un giocattolo o un giorno di festa atteso per un lungo anno; era il giorno di festa anche per molti dei pastori o salariati che si recavano alla fiera, per accompagnare il gregge di animali da vendere, alla quale anche chi scrive ha preso parte come proprietario di beni da vendere (per lo più di animali). Ricordo di un vecchio signore medico-agricoltore, Don Filippo de’Ruggieri, proprietario di molti animali, che si recava alle fiere fino a tarda età ed era solito portare con sé una piccola sedia per sedersi e fumare tabacco in una pipa di creta e cannuccia, un ombrello per ripararsi dal sole ed una riserva d'acqua conservata in un recipiente di argilla porosa, "gummula", che aveva la caratteristica di mantenersi fresca specie quanto più si esponeva al sole. Nei tempi moderni il nuovo orientamento economico, lo sviluppo delle comunicazioni, la rivoluzione industriale, vari fattori tecnici e l'abbandono dell'agricoltura hanno modificato profondamente il carattere delle fiere. Queste tendono oggi ad essere centro di contatto fra operatori lontani e mostre campionarie dei prodotti, assai più che luoghi di scambio delle merci. Le fiere d'un tempo, dove si commerciavano animali d'ogni specie e si leggeva sul volto dei ferianti la gioia della festa da godere davanti alla bancarella che esponeva dolciumi e frutta secca, tra i suoni che allietavano la giornata, sono ormai scomparse da molto tempo.
Antonio Molfese
Medico Pubblicista
torremolfese.altervista.org
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